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Una grande coalizione per Obama
L’Islam e il suo vero nemico
La settimana scorsa, in
sole 48 ore, le milizie jihadiste dello Stato
Islamico hanno assunto il controllo di una quarantina di villaggi ad Ain al Arab,
estendendo a sessanta le località curde conquistate
nel nord della Siria. Nonostante i raid aerei a cui
avevano partecipato caccia bombardieri francesi, statunitensi, sauditi, i
miliziani del califfato si erano espansi. Non essendoci truppe della coalizione al suolo, non c’è la possibilità di un
coordinamento aereo, soprattutto in Siria dove il regime che pure combatte
direttamente con il suo esercito l’Isis da più di
un anno, è estraneo alla coalizione. In Vietnam i marines
impegnati in combattimento potevano usufruire
immediatamente dell’appoggio aereo e della loro artiglieria di retroguardia,
in Siria, i combattenti curdi possono solo
scappare. In Iraq ancora non è chiaro come ci si dislocherà sul fronte. In
ogni caso il bilancio della scorsa settimana di bombardamenti è che l’Isis ha guadagnato terreno. I raid si sono concentrati
sui giacimenti petroliferi controllati dall’Isis
che si finanzia vendendo il greggio, ricavandone due milioni di euro al giorno.
Se i tesorieri dell’Isis sono solerti e non si sono
messi in tasca i soldi della causa per scappare in Kenya, hanno avuto tutto
il tempo di incamerare almeno cento milioni di euro.
A questi vanno aggiunti finanziamenti vari dei ricchi emiri, magari gli
stessi che ora vogliono bombardarli, ma prima preferivano
tenerli lontani dai loro confini con elargizioni. E’ possibile che le casse
del califfato contino almeno trecento milioni di euro.
La cura dei filmati di propaganda, dimostra che hanno da spendere. Armi ne hanno già in abbondanza, le hanno preso persino agli
iracheni. L’unica cosa che potrebbero davvero aver
bisogno sono gli uomini.
Prima che si tagliasse la testa al primo prigioniero
americano, il pentagono contava di 16 di mila unità l’esercito dell’Isis.
Nel giro di poche ore, quei sedicimila erano 32 mila. Una sola testa tagliata
aveva raddoppiato il contingente. Non possiamo calcolare di quanto questo sia aumentato da allora.
Temiamo solo che gli obiettivi strategici scelti dalla coalizione
non incidano direttamente sul grosso della forza combattente dell’Isis che infatti non ha subito alcun contraccolpo, anzi
si è estesa. Obama lo ha detto, sarà una guerra
lunga, il che vuol dire che ci saranno più vittime e
non di meno. Per fare un guerra breve, sarebbe stato
necessario, primo, non togliere le truppe americane dall’Iraq, secondo
aumentarle rapidamente con effettivi di una forza di intervento rapido, in
modo da colpire immediatamente l’Isis appena messo
piede in Iraq. Terzo chiuderla in una morsa siglando un
patto di ferro con la Siria, che invece in quel tempo si voleva bombardare.
Ringraziamo il pontefice papa Francesco, che intuisce la politica
internazionale al volo, meglio di Obama. La grande coalizione
messa in piedi dal presidente statunitense serve a dire che l’America non è
sola, non a vincere la guerra. Rischia invece di diffondere l’Isis ulteriormente fra le masse arabe che vedono
impegnato il califfato contro regimi loro odiosi quanto l’America. L’Islam
non è nostro nemico, vero. Ma il vero problema è chi L’Islam scelga come nemico. Se ancora non lo abbiamo capito a breve ce ne accorgeremo.
Roma, 26 settembre 2014
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